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DNA: rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi al test, indizio nella dichiarazione di paternità

Può un padre rifiutarsi di sottoporsi al test del DNA ?

La risposta è affermativa, considerato che non è coercibile la volontà di una persona di sottoporsi all’esame del DNA.

Ciononostante, nulla impedisce al giudice di valutare, in caso di rifiuto privo di adeguata giustificazione, il comportamento della parte, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2. A norma del quale “Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte delle parti, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo“.

Possibile chiedere una C.T.U. (consulenza tecnica di ufficio, la c.d. perizia del giudice)?

Certamente, anche perchè nella maggior parte dei casi risulta l’unica prova (dotata peraltro di una elevata percentuale di attendibilità) finalizzata ad accertare la compatibilità dei profili biologici delle parti (esempio, padre e figlio).

Esiste un termine entro il quale richiedere l’accertamento della maternità o paternità ai sensi dell’art. 270 c.c.?

La risposta è negativa, considerato che la legge non pone limiti temporali all’esercizio del diritto del figlio di richiedere l’accertamento della maternità o paternità ai sensi dell’art. 270 c.c.

Proprio di recente, la Cassazione, Sez. civile, 12 ottobre 2023, n. 128444, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un padre di Terni avverso la sentenza di appello, che aveva riconosciuto la paternità sulla base del reiterato rifiuto opposto allo svolgimento della consulenza genetica.

La Cassazione ha considerato tale comportamento processuale con valenza assorbente, ai fini dell’accertamento della presunta paternità, sul piano indiziario ex art. 116 c.p.c.

Nei giudizi volti alla dichiarazione giudiziale di paternità, è escluso che il figlio debba fornire prova in ordine all’esistenza di una relazione tra la madre ed il padre, prima di chiedere la C.T.U. avente ad oggetto l’esame del D.N. A..

Il principio della libertà di prova, sancito dall’art. 269 c.c., comma 2, non tollera limitazioni, nè mediante la fissazione di una gerarchia tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, nè, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di un “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo tutti i mezzi di prova pari valore.

Una diversa interpretazione, impedirebbe la tutela di diritti fondamentali attinenti allo status.

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